I TOP AGENCY MANAGER DEL REAL ESTATE ITALIANO. A COLLOQUIO CON MARIO ANGELINI DI FARE AGENCY E MEMBRO DEL COMITATO SCIENTIFICO DI REAL-ESTATE 4.0

CONDIVIDI

Angelini

Vi proponiamo l’intervista a Mario Angelini, agency manager di First Atlantic Intermediazioni e membro del Comitato Scientifico di Real-Estate 4.0.

PROFILO

Mario Angelini opera da oltre 25 anni nel settore real estate e della finanza immobiliare inizialmente in strutture più contenute e a carattere locale e successivamente contribuendo allo sviluppo e alla strutturazione di organizzazioni aziendali divenute tra i leader del mercato.  Ha sviluppato strategie di marketing e seguito lo start-up di divisioni commerciali fino alla creazione di modelli di business da replicare in più ampi territori. Si è occupato della gestione di fondi immobiliari e clienti corporate per l’acquisizione e la vendita di immobili residenziali, commerciali, direzionali ed industriali. Ha strutturato e coordinato reti commerciali composte da diverse professionalità. Per diversi anni ha operato nel campo degli NPL con la finalità di ridurre i tempi e ottimizzare l’entità degli incassi attraverso una pro attiva gestione delle garanzie immobiliari. Attualmente è Agency manager di First Atlantic Intermediazioni società 100% First Atlantic Real Estate con l’obiettivo di dismettere parte del patrimonio immobiliare gestito.

Buongiorno dott. Angelini, quali considerazioni le suscita il particolare momento che stiamo vivendo?

Siamo nel pieno di una pandemia le cui conseguenze sono e saranno drammatiche a tutti i livelli non ultimo quello di natura economica. Qualcuno prevede la peggiore crisi economica dell’ultimo secolo. Se non altro perché globale e colpirà tutti i continenti a differenza di altre molto profonde che però erano limitate a parti del nostro pianeta.

Sorvoliamo sugli strumenti messi in campo dagli stati membri e dalla stessa Unione Europea, alquanto inadeguati al momento. Ravvediamo sicuramente la necessità di ulteriori e più consistenti interventi nei prossimi giorni, al momento non prevedibili, che ci doteranno di più efficaci supporti per porre rimedio al depauperamento delle risorse e il conseguente impoverimento dei mercati e fondamentali per una pronta ripartenza quando l’emergenza sarà terminata.

Avendo il tempo, e come esercizio mentale per non perdere aderenza con il mercato mi sto immaginando quelli che potrebbero essere i futuri scenari immobiliari.

E’ molto probabile che da un punto di vista quantitativo tutti i settori nei prossimi mesi soffriranno per un calo dei volumi, ma dal punto di vista qualitativo possibili e auspicabili cambiamenti potrebbero generare delle grandi opportunità per la crescita del settore e del nostro paese.

Che cosa vede all’orizzonte?

In generale prevedo opportunità di cambiamento che vi elenco sinteticamente, magari rimandando ad un altro appuntamento eventuali approfondimenti.

Per gli immobili residenziali intravedo delle possibilità legate al potenziale sviluppo dello smartworking che richiederà ambienti domestici più ampi e moderni (con uno studio per esempio e dotati dei più moderni sistemi domotici) e soprattutto inseriti in contesti condominiali più confortevoli e forniti di ampi servizi perché ci si passerà molto più tempo (sala per il fitness, giardini, ampi balconi, terrazze, concierge service ecc…)

Per gli immobili turistici a mio avviso vivremo una selezione da parte degli utenti/clienti per le case/alberghi che risponderanno a più alti standard di qualità, sicurezza e servizi offerti nella programmazione, prenotazione e gestione del soggiorno.

Negli ultimi anni al fine di ridurre le spese e centrare gli obiettivi di bilancio, gli enti locali hanno attuato una costante chiusura e dismissione di strutture ospedaliere. Mai come in questa emergenza sanitaria abbiamo avuto la prova e la dimostrazione che in tutti i piani, anche i più virtuosi, si erano sottostimati i fabbisogni dei cittadini (consideriamo sempre che l’età media del nostro paese si sta alzando) e di non aver valutato tutte le possibili variabili. Credo che oggi ne siano consapevoli tutte le istituzioni ma sono persuaso che invertire il trend in modo drastico e repentino sarà molto complicato per gli enti pubblici vista la loro proverbiale articolazione e burocrazia. In questi casi è più facile prevedere l’intervento di imprenditori privati più snelli e organizzati. E’ quindi immaginabile e auspicabile un consistente aumento degli investimenti privati nel settore (istituzionali e fondi) con la costruzione di strutture accreditate all’erogazione di prestazioni sanitarie da parte degli enti locali (Regioni e città metropolitane) con un significativo aumento della domanda/offerta nel mercato delle RSA, delle Cliniche e più in generale gli immobili ad uso socio-sanitario.

Anche gli immobili commerciali verranno, secondo me, caratterizzati da questo drammatico evento. Le vendite nell’ultima settimana nella GDA sono aumentate (+16,4%) con una sempre maggiore familiarizzazione degli acquisti on-line, incrementati ulteriormente dall’impossibilità di uscire con frequenza. E’ probabile che assisteremo ad un’ulteriore espansione degli hub logistici e un calo della domanda degli spazi commerciali. Aumenterà la competizione nella grande distribuzione soprattutto nell’ambito dei servizi offerti e dei costi collaterali più che sui prodotti oramai abbastanza uniformati. Parallelamente, non dimenticando che siamo un paese di anziani come ci ricordano quotidianamente i media, potremo assistere ad una rivalutazione mirata e contenuta, quindi non su larga scala, del ruolo dei negozi di vicinato attraverso la specializzazione commerciale su prodotti di gamma medio alta riappropriandosi della loro funzione sociale con la creazione di empatia e rapporto umano tra i gestori/clienti, raggiungibili da tutti quelli che non hanno dimestichezza con le nuove tecnologie ma che non possono coprire lunghe distanze per fare acquisti che sono soprattutto i nostri genitori e nonni.

Guardiamo le possibili conseguenze, lato real estate, dello sviluppo dello smartworking. Il processo di cambiamento, avviato già qualche anno fa, per l’ottimizzazione degli spazi ha reso i luoghi di lavoro posti asettici e impersonalizzati. La rivoluzione partì dalla creazione degli open space prima, per arrivare al più attuale sistema del coworking dove tutte le risorse dell’azienda sono dotate di dispositivi portatili che al mattino all’arrivo nella sede di lavoro possono essere collegati alla rete da qualsiasi scrivania libera. L’obiettivo era ovviamente ridurre le superfici e i relativi costi di locazione e gestione, il cosiddetto facility management. Lo smartworking oltre ad aumentare, almeno teoricamente, il potenziale produttivo eliminando i tempi morti di spostamento da e per il posto di lavoro, diminuirà ulteriormente il fabbisogno di superfici necessarie moderando i relativi costi. La domanda dovrebbe subire una contrazione sui volumi ma diventerà molto più ambiziosa e selettiva sulle aspettative di qualità e sostenibilità degli ambienti allo slogan di “costruire meno ma costruire meglio e con maggiori servizi, comodità e accessori.

Per gli immobili industriali, invece, quali cambiamenti sono prevedibili e quali opportunità si sente di segnalare ai professionisti del settore?

Molti economisti, e nel mio piccolo anche io, sono d’accordo nell’affermare che l’Italia non ha una politica industriale credibile e strutturata da almeno quarant’anni. A supporto di questa tesi c’è un’ampia bibliografia e vi segnalo anche qualche articolo che potete trovare su https://www.industriaitaliana.it/litalia-non-ha-una-politica-industriale-credibile-da-quasi-40-anni-ma-ce-chi-cha-provato/) che in modo molto sintetico riassume i pochi e vani tentativi degli ultimi anni.

La naturale conseguenza è che, non avendo mantenuto la competitività acquisita negli anni dal dopo guerra agli anni 70, negli ultimi 30 anni non abbiamo fatto altro che assistere al trasferimento delle nostre attività produttive all’estero. Attraverso due fenomeni. Uno diretto: la delocalizzazione. L’altro indiretto: la cessione delle imprese a gruppi stranieri che trascorsi i termini di mantenimento della produzione in Italia concordati con le varie organizzazioni sindacali hanno proceduto al fermo produttivo e alla chiusura per portare la produzione di beni con i nostri marchi nei paesi dell’Est Europa soprattutto nell’ambito degli elettrodomestici, in Cina o in India.

Le ragioni sono molte e le conosciamo tutti: eccessiva burocrazia, frammentazione del quadro normativo di riferimento sul territorio, visto che spesso i regolamenti attuativi sono demandati ad enti locali principalmente le regioni che influenzano le modalità di fare impresa con diverse regole da territorio a territorio, elevato costo dell’energia e degli idrocarburi, eccessivo numero di adempimenti amministrativi e fiscali, tassazione elevata, costo del lavoro soprattutto a causa dell’elevato cuneo fiscale ecc…

Questi aspetti, oltre al costante ridimensionamento dell’andamento economico e occupazionale, considerate che nel 1980 il tasso di disoccupazione totale era al 6,9%, nel 2014 era arrivato al 12,7% per ridimensionarsi al 10% nel 2019 ma sappiamo quale prezzo ha pagato in termini di precarietà e di salario medio, alla qualità dei prodotti e degli scarti di produzione soprattutto per i lavorati di gamma medio alta con conseguenze sulla reputazione dei brand e ripercussioni sui costi di produzione e al costo dei trasporti, ci ha posto degli interrogativi a cui dovremo dare una repentina risposta in termini di sicurezza, autonomia e di capacità produttiva di beni di prima necessità sul nostro territorio nazionale come i presidi di protezione individuale per esempio lo sono.

La domanda ora la pongo io a tutti i nostri interlocutori. Non è forse arrivato il tempo di avviare una nuova, organica, strutturata e articolata politica industriale finalizzata a riportare le industrie italiane e perché no quelle straniere sul nostro territorio e incentivare l’avviamento di nuove? Auspico vivamente di sì.

Il fenomeno si sposerebbe perfettamente con quello che tanti tecnici e urbanisti dicono da tempo, riconvertire fabbriche obsolete ed inquinanti come l’ILVA tanto per citarne una nota a tutti e/o recuperare complessi immobiliari abbandonati senza consumare nuovo “suolo”. Tutto questo si potrebbe realizzare incentivando la riqualificazione delle numerose aree industriali dismesse attraverso la demolizione di fabbricati esistenti obsoleti, spesso fatiscenti e oggetto di occupazioni sgradite, la bonifica delle aree e la ricostruzione di complessi immobiliari a destinazione industriale moderni, eco sostenibili ed ecologici.

Gli strumenti da utilizzare potrebbero essere lo snellimento radicale degli adempimenti richiesti attraverso procedure d’urgenza con apposite commissioni di valutazione e vigilanza (mantenendo rigidi controlli), la detassazione per i primi 5 anni attraverso la totale detrazione dei costi sostenuti almeno per l’acquisto dell’area, delle demolizioni e delle bonifiche e l’abbassamento considerevole del costo del lavoro/cuneo fiscale per tutti i lavoratori assunti i quei distretti.

I benefici sarebbero enormi. Il recupero di territori abbandonati che verrebbero restituiti alla collettività, vere e proprie piccole città fantasma sparirebbero ristabilendo equilibri scomparsi da tempo con l’ambiente circostante, risvolti occupazionali con conseguente alzamento del livello economico del contesto sociale di riferimento.

Della logistica che cosa ci dice?

Ovviamente nell’ambito industriale rientrano anche gli immobili ad uso logistico. Il commercio on line come detto vive un progressivo e inarrestabile sviluppo capitanato dalle grandi multinazionali delle vendite permeando anche settori merceologici prima poco utilizzati tipo quello alimentare. Anche per questo la logistica in questi ultimi anni ha avuto un ulteriore rapido sviluppo legato anche all’ulteriore automatizzazione tecnologica dei depositi merce. Oltre ai classici immobili che siamo abituati a gestire sono ritornati d’interesse anche gli immobili non necessariamente alti 12 mt con campate da 18 mt, bifronte e con aree di manovra e piazzali di sosta enormi purché non siano troppo lontani dalle città diciamo non oltre i 10/15 km. Anche il recupero di questi immobili darebbe nuova vita economica e sociale a zone depresse spesso teatro di assembramenti non autorizzati o peggio discariche abusive.

Mi sembra che tutto sommato in un periodo così difficile comunque Lei intraveda molteplici possibilità per una pronta ripartenza, seppur con una possibile contrazione del mercato che premierà soprattutto la qualità. Da un punto di vista di comparto immobiliare come vede il futuro dei professionisti del settore?

E’ difficile in questo preciso momento fare delle previsioni attendibili. Ho condiviso delle mie impressioni su possibili variazioni del nostro comparto. Qualunque sarà il mercato immobiliare che ci attenderà questa emergenza sanitaria mondiale e la conseguente crisi economica, cambierà per sempre l’approccio ai vari settori e darà un ulteriore impulso a tutti gli strumenti utili a fare rete, creare community e/o gruppi di lavoro, una specie di MLS allargato a tutti gli operatori del mercato, tecnici, legali e commerciali che saranno chiamati a innovarsi sia dal punto di vista tecnologico che dei servizi da offrire. Si chiederà sempre più attenzione alla qualità dei servizi e alla sostenibilità dei prodotti. Anche alla luce dell’ennesima conferma della volatilità del mercato azionario, aumenteranno i clienti per quelli che di noi sapranno stare al passo con il nuovo corso.

Ringraziamo il Dott. Mario Angelini e condividiamo le sue riflessioni con i nostri Associati. Per qualunque approfondimento, quesito o commento potete contattare direttamente la nostra redazione.

Archivio articoli correlati