eBook – Il contratto preliminare di compravendita immobiliare – Parte II.

Quaderno n. 4 del Comitato Real Estate 4.0 edito da UTET Wolters Kluwer

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Corte Cassazione - foto di Matthias Lemm

 

 

La Suprema Corte, Sez. II con la Sentenza del 12/12/2019, n. 32694 (rv. 656316-01) ha affrontato il tema della provenienza donativa dell’immobile promesso in vendita qualora tale circostanza sia stata taciuta dal promittente venditore.

La sentenza è stata così massimata:

In tema di preliminare di vendita il promissario acquirente, al quale sia stata taciuta la provenienza del bene da donazione, è abilitato a rifiutare la stipula del contratto definitivo, ai sensi dell’art. 1481 c.c., solo dopo la morte del donante, quando diviene attuale il diritto del legittimario; la valutazione della concretezza di tale rischio non può, inoltre, prescindere da una indagine sulla consistenza del patrimonio ereditario in relazione al numero e qualità dei legittimari, al numero e all’ordine cronologico delle donazioni, alla consistenza del patrimonio del donatario e alle garanzie da questo prestate e alla circostanza che il legittimario abbia in qualche modo fatto capire che intende agire in riduzione contro la specifica donazione costituente il titolo di provenienza e sia nelle condizioni giuridiche per farlo”. (Cassa con rinvio, CORTE D’APPELLO VENEZIA, 24/11/2014)

 

In tema di preliminare di vendita, la provenienza del bene da donazione, anche se non comporta per sé stessa un pericolo concreto e attuale di perdita del bene, tale da abilitare il promissario ad avvalersi del rimedio dell’art. 1481 c.c., è comunque circostanza influente sulla sicurezza, la stabilità e le potenzialità dell’acquisto programmato con il preliminare. In quanto tale essa non può essere taciuta dal promittente venditore, pena la possibilità che il promissario acquirente, ignaro della provenienza, rifiuti la stipula del contratto definitivo, avvalendosi del rimedio generale previsto dell’art. 1460 c.c., se ne ricorrono gli estremi”. (Cassa con rinvio, CORTE D’APPELLO VENEZIA, 24/11/2014)

FONTI
CED Cassazione, 2019

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Sintesi dei fatti di causa

– Contratto preliminare per la vendita di un capannone a uso artigianale con versamento caparra confirmatoria di Euro 50.000,00.

– Dopo la firma il promissario acquirente scopre che il bene oggetto della promessa era di provenienza donativa in quanto donato alla promittente venditrice dai genitori.

– Il promissario acquirente ritiene che:

    • se avesse saputo di tale provenienza non si sarebbe determinato all’acquisto;
    • dato il rischio di riduzione della vendita da parte dei legittimari dei donanti sussiste il suo diritto a rifiutare la sottoscrizione del contratto definitivo di vendita (di seguito identificato come “addebito n. 1”).Il giudizio di primo gradoIn via subordinata chiedeva accertarsi che il promissario acquirente aveva esercitato legittimamente il diritto di recesso ai sensi dell’art. 1385 c.c.In tutti i casi chiedeva la condanna della promittente venditrice al risarcimento del danno.Il Tribunale rigettava le domande della promissaria acquirente mentre accoglieva la riconvenzionale della promittente venditrice alla quale riconoscenva pertanto il diritto di trattenere la caparra ricevuta.In ordine all’addebito n. 1 invece, il tribunale negava che la provenienza donativa del bene comportasse di per sé un pericolo di rivendica ai sensi dell’art. 1481 c.c. Escludeva che la provenienza donativa potesse considerarsi un onere reale che ne limitasse il godimento ex art. 1489 c.c.L’appello della promissaria acquirente veniva respinto. In particolare in ordine all’addebito n. 2 il giudice di appello dichiarava di condividere l’affermazione del tribunale sul fatto che il silenzio sulla provenienza donativa del bene promesso in vendita non potesse integrare dolo contrattuale.La promissaria acquirente propone ricorso per Cassazione per tre motivi.La Corte ha ritenuto fondati pur se parzialmente il primo ed il terzo motivo ed infodato il secondo e parte del terzo e cassato la sentenza demandando al giudice del rinvio la valutazione sulla legittimità o meno del rifiuto del promissario in applicazione dei principi enunciati.******* Ecco il ragionamento: “ In materia di mediazione questa Corte ha recentemente chiarito che, dati gli inconvenienti cui dà normalmente luogo, la provenienza da donazione dell’immobile promesso in vendita “costituisce circostanza relativa alla valutazione e alla sicurezza dell’affare, rientrante nel novero delle circostanze influenti sulla conclusione di esso, che il mediatore deve riferire ex art. 1759 c.c. alle parti” (Cass. n. 965/2019). Se la provenienza da donazione rientra nel novero delle circostanze che il mediatore deve riferire alle parti ai sensi dell’art. 1759 c.c., a maggior ragione essa non potrà essere taciuta dal promittente venditore. Sotto questo profilo è decisivo il rilievo che il rischio, insito nella provenienza, esiste sempre, qualunque sia la situazione personale e patrimoniale del donante al tempo della donazione. Una donazione, che appare immune da rischi al momento della disposizione, perchè il disponente ha un patrimonio ampiamente capiente, potrebbe risultare lesiva al momento della morte. Nemmeno l’acquisto per donazione da chi sia privo in quel momento di congiunti rientranti nella categoria dei legittimari preserva da questo rischio, perchè i legittimari potrebbero sopravvenire successivamente. Ai fini della riducibilità non è consentita distinzione tra donazioni anteriori o posteriori al sorgere dal rapporto da cui deriva la qualità di legittimario (Cass. n. 1373/2009). D’altronde è fatto oramai di comune esperienza che il sistema bancario è restio a concedere credito ipotecario, se l’immobile offerto in garanzia sia stato oggetto di una precedente donazione. E’ altrettanto noto che, proprio con il fine di attutire questi inconvenienti, è intervenuto il legislatore con la riforma del 2005, che ha novellato gli artt. 561, 563 c.c. (L. n. 80 del 2005). La dottrina e la classe notarile discutono da decenni sui possibili rimedi per favorire la circolazione dei beni di provenienza da donazione”. L’art. 1481 c.c., prima ancora che l’evizione si consumi, accorda al compratore un rimedio cautelare, consistente nella facoltà di sospensione del pagamento del prezzo, quando egli abbia ragione di “temere che la cosa possa essere rivendicata da terzi“. Quando, in relazione al bene promesso in vendita, sussista il pericolo attuale e concreto di evizione, è concessa al promittente acquirente la facoltà di rifiutarsi di concludere il contratto definitivo fino a quando non venga eliminato tale pericolo (Cass. n. 24340/2011). Per il collegamento dell’istituto con la norma dell’art. 1460 c.c. occorre che l’esercizio della relativa facoltà non sia contraria a buona fede, e tale indeclinabile condizione ricorre quando il pericolo abbia la necessaria connotazione di serietà e concretezza, “in modo che possa escludersi che esso rappresenti per l’acquirente un semplice pretesto per non adempiere la propria obbligazione” (Cass. n. 2463/1985; n. 3323/1987; n. 5979/1994. In dottrina si rileva che il rimedio della sospensione costituisce un’applicazione della norma generale dell’art. 1460 c.c., con la particolarità che esso è accordato a prescindere dal fondamento della pretesa del terzo. In particolare la formula normativa si presta a ricomprendere quelle ipotesi in cui non risulta in atto l’esistenza dell’altrui diritto e in cui non sarebbe quindi applicabile l’eccezione di inadempimento. Dunque il requisito del pericolo, se da un lato rende l’art. 1481 c.c. più rigoroso dell’art. 1460 c.c., dall’altro lato, lo rende più benevolo verso il compratore, perchè l’esistenza del pericolo fa trattare la sospensione come legittima indipendentemente dalla fondatezza dell’azione temuta.   E’ innegabile che la provenienza da donazione porta con sè la possibilità che questa possa essere attaccata in futuro dai legittimari del donante, i quali, una volta ottenutane la riduzione, potrebbero pretendere la restituzione del bene donato anche nei confronti dei terzi acquirenti (art. 563 c.c.). Nello stesso tempo è altrettanto innegabile che la teorica instabilità insita nella provenienza non determina per sè stessa un rischio concreto e attuale che l’acquirente del donatario si veda privato dell’acquisto. Da questo punto di vista l’analisi deve partire dalla considerazione che il diritto alla legittima si costituisce al momento della morte del donante in base al valore dei beni, relitti e donati, riferiti a quel momento (art. 556 c.c.). Solo all’apertura della successione è possibile appurare se sussiste una “lesione di legittima”. Consegue da tale sistema che: a) il legittimario può pretendere dai donatari solo l’eventuale differenza fra la legittima, calcolata sul relictum e sul donatum, e il valore dei beni relitti: se questi sono sufficienti i donatari sono al riparo da qualsiasi pretesa, qualunque sia stata la scelta del legittimario nei riguardi dei coeredi e beneficiari di eventuali disposizioni testamentarie; b) il legittimario non può recuperare a scapito di un donatario posteriore quanto potrebbe prendere dal donatario anteriore (Cass. n. 3500/1975; n. 22632/2013): se la donazione posteriore è capiente le anteriori non sono riducibili, anche se la prima non sia stata attaccata in concreto con l’azione di riduzione. Occorre poi considerare che l’eventuale sacrificio di uno dei donatari non si traduce necessariamente nel sacrificio dell’acquirente del donatario colpito da riduzione. Ex art. 563 c.c. la c.d. retroattività reale dell’azione di riduzione non è riconosciuta senza limitazioni, dovendo il donatario preventivamente escutere i beni eventualmente esistenti nel patrimonio del donatario (Cass. n. 5042/2011; n 613/1961). Solo in caso di esito negativo di tale escussione il legittimario ha diritto di rivolgersi contro il terzo chiedendogli la restituzione del bene immobile (Cass. n. 1392/1970). La valutazione della concretezza di tale rischio non potrebbe poi prescindere da una indagine sulla consistenza del patrimonio ereditario in relazione al numero e qualità dei legittimari (l’ordinamento riserva ai legittimari una quota del patrimonio del defunto non fissa, ma variabile in ragione degli aventi diritto). L’indagine dovrebbe poi essere estesa “alla consistenza del patrimonio del donatario e alle garanzie da questi prestate” (Cass. n. 2792/1985). La risposta della Corte a tale quesito è affermativa considerato che se in presenza di un concreto e attuale pericolo di rivendica, inteso nel senso sopra descritto, il promissario, al quale sia stata taciuta la provenienza da donazione, sarà certamente abilitato a rifiutare la stipula del contratto definitivo, tale conclusione non può voler dire a contrario che, fino a quando quel pericolo non sia configurabile, la provenienza da donazione sia circostanza irrilevante sulle condizioni dell’acquisto, tale da poter essere impunemente taciuta dal promittente venditore, rimanendo il promissario, ignaro della provenienza, invariabilmente obbligato all’acquisto. Non si può negare a priori che già il rischio teorico che l’acquirente possa trovarsi un giorno esposto alla pretesa del legittimario, con i correlativi impedimenti alla circolazione del bene che da subito quel rischio si porta dietro, possa rappresentare, nelle singole situazioni concrete, un elemento idoneo a pregiudicare la conformità del risultato traslativo attuabile con il definitivo rispetto a quello programmato con il preliminare.  In particolare, la Corte chiarisce che “La previsione contrrattuale invocata dal ricorrente, pertanto, non rendeva per ciò solo grave la mancata produzione del condono, tale da rendere legittimo l’esercizio del diritto di recesso, occorrendo al riguardo i presupposti giustificativi della risoluzione. Nello stesso tempo la previsione contrattuale, per la sua genericità, non può essere intesa quale espressione della volontà dei contrenti di riconnettere rilevanza anche all’inadempimento di scarsa importanza (Cass. n. 2380/1975)”.Il tribunale, prima, e la corte d’appello hanno negato che la mancanza del condono costituisse circostanza che abilitava il promissario a rifiutare la stipula e trattenere la caparra. A tal fine hanno posto l’accento sul fatto che la promittente si era comunque posta nelle condizioni di poter stipulare il definitivo, avendo presentato istanza di condono e versato l’oblazione, come risultava dagli atti notarili riguardanti il medesimo bene. Diversamente da quanto sostiene il ricorrente, secondo la normativa vigente all’epoca della stipula, tanto per la domanda di condono, quanto per la prova dell’avvenuto versamento dell’oblazione, non occorreva l’allegazione, ma bastava la menzione nell’atto notarile. Tali menzioni si ritrovano nell’atto di donazione del 28 dicembre 2001 riportato nel ricorso, dove sono indicate la data di presentazione della istanza al Comune di Vigonza e gli estremi del versamento della oblazione (L. n. 66 del 1996).C) Considerazioni finali.Normalmente, il soggetto che si accinge ad effettuare l’acquisto di un immobile soprattutto al fine dichiarato di speculazione dovrebbe essere in grado di valutare a priori anche la sicurezza dell’affare che vuole concludere. Su tale aspetto, il ragionamento della Suprema Corte, probabilmente per ragioni di giustizia sostanziale, sembra aver enfatizzato la condotta del promittente venditore nell’aver taciuto la provenienza donativa dell’immobile. Probabilmente, possiamo ipotizzare che nel caso esaminato ricorressero circostanze tali per cui il promittente venditore evidentemente ha cercato in tutti i modi di sviare il promissario acquirente sul tema. Infine, una notazione di carattere processuale. La Corte nonostante i motivi di ricorso non fossero stati formulati correttamente anche in punto di identificazione delle norme violate e del tipo di violazione ha giustamente ritenuto di far valere la sostanza della denuncia e non fermarsi alla forma. Ciò conferma che l’esito di un ricorso per Cassazione dipende anche dalla sensibilità del relatore e dall’interpretazione delle norme processuali in materia che il medesimo ritiene essere quella corretta.
    • Ai fini di giustizia è evidente che tale interpretazione probabilmente è quella che più rende effettiva la tutela giurisdizionale.
    • Certo, non si può trascurare che la provenienza di un bene è facilmente conoscibile ed a ciò è sufficiente rivolgersi ad un professionista operante nel settore (avvocato, notaio, agente in mediazione immobiliare, ecc.) ovvero richiedere una visura presso i registri immobiliari per verificare i titoli di provenienza in capo al promittente venditore. Sotto questo profilo l’affermazione in diritto della Corte secondo cui l’art. 1460 c.c. potrebbe prestarsi a tutelare il promissario acquirente, sembra provare un po’ troppo perchè non tiene conto che la leggerezza del promissario acquirente costituisce una colpa che non può essere ignorata. Il principio è ben noto nella giurisprudenza della Corte proprio in relazione all’applicabilità dei rimedi c.d. dilatori. Del resto la Corte si è premurata di ribadire che l’esercizio della relativa facoltà (sic di invocare i rimedi dilatori) non deve essere contraria a buona fede, e tale indeclinabile condizione ricorre quando il pericolo abbia la necessaria connotazione di serietà e concretezza, “in modo che possa escludersi che esso rappresenti per l’acquirente un semplice pretesto per non adempiere la propria obbligazione” (Cass. n. 2463/1985; n. 3323/1987; n. 5979/1994).
    • Certamente condivisibili sono i principi affermati dalla Corte in relazione all’importanza che può rivestire in generale il tema legato alla provenienza da donazione dell’immobile promesso in vendita.
    • Secondo il ricorrente, in presenza della clausola che faceva obbligo della produzione del condono, il rilievo fondato sulla mancanza di impedimenti giuridici al trasferimento non sarebbe pertinente. Ma, in questi termini, il ricorrente solleva una contestazione puramente formale, fondata sulla mera esistenza della previsione dell’obbligo di produzione, mentre la rilevanza del relativo inadempimento non si sottraeva alla verifica di gravità secondo le norme generali sulla risoluzione, applicabili anche al recesso in presenza di caparra.
    • E’ utile operare un parallelo con la clausola risolutiva espressa, per la cui efficacia non basta un generico riferimento al contratto, ma occorre che essa specifichi l’inadempimento in relazione alla singola o alle singole obbligazioni contrattuali, “costituendo clausola di stile quella redatta con generico riferimento alla violazione di tutte le obbligazioni contenute nel contratto, con la conseguenza che, in tale ultimo caso, l’inadempimento non risolve di diritto il contratto, ma deve esserne considerata l’importanza in relazione all’economia del contratto stesso, non bastando l’accertamento della sola colpa previsto invece in presenza di una clausola risolutiva espressa” (Cass. n. 5169/1990; n. 851/1982; n. 5147/2001)”.
    • La Corte dopo aver ribadito che la valutazione di gravità dell’inadempimento compete al giudice di merito ed è insindacabile in Cassazione (Cass. n. 6401/2015; n. 14974/2006); e che la gravità dell’inadempimento richiesto dall’art. 1385 c.. II comma è uguale a quello previsto per la risoluzione in generale (Cass. n. 398/1989: n. 409/2012; n. 12549/2019) spiega perchè non sussiste un grave inadempimento del promittente venditore nel caso concreto.
    • B) In relazione all’addebito n. 2 (il mancato rilascio della concessione in sanatoria costituisce inadempimento grave giustificante la risoluzione del contratto preliminare per come dedotta nel relativo contratto).
    • La mancanza di un pericolo concreto ed effettivo di rivendica da parte del legittimario non è allora argomento sufficiente per negare al promissario, ignaro della provenienza, la facoltà di rifiutare la stipula del definitivo avvalendosi del rimedio generale dell’art. 1460 c.c.
    • 5) Di fronte al silenzio del promittente venditore in merito alla provenienza donativa del bene promesso in vendita il promissario acquirente ha altri rimedi da far valere a sua tutela?
    • Infine occorrerebbe che il legittimario abbia in qualche modo fatto capire che intende agire in riduzione contro la specifica donazione costituente il titolo di provenienza e sia nelle condizioni giuridiche per farlo.
    • Si dovrebbe poi considerare a rigore anche il numero e l’ordine cronologico delle donazioni.
    • In base a tale sistema è inevitabile dedurne che l’esistenza di un rischio concreto e attuale a carico dell’avente causa del donatario, nel senso previsto dall’art. 1481 c.c., potrebbe dirsi attuale solo dopo la morte del donante, quando diviene attuale il diritto del legittimario.
    • Si deve ancora aggiungere che l’esistenza di una lesione di legittima non comporta necessariamente il sacrificio dei donatari, nè tanto meno il sacrificio indistinto di tutti i donatari (artt. 553, 555, 559 c.c.). Le donazioni infatti non sono riducibili se non dopo esaurito il valore dei beni relitti (artt. 553, 555 c.c.). Le donazioni, inoltre, non si riducono proporzionalmente come le disposizioni testamentarie, ma secondo un criterio cronologico, cominciando dall’ultima e risalendo via via alle anteriori (art. 559 c.c.). Si sa che le norme sul modo di integrazione della legittima e sull’ordine di riduzioni delle disposizioni lesive sono inderogabili (Cass. n. 4721/2016). Il legittimario non può far ricadere il peso della riduzione in modo difforme da quanto dispongono gli artt. 553, 555, 558 e 559 c.c.
    • 4) Quali sono le ragioni di tale risposta negativa e come deve essere condotto l’accertamento relativo alla sussistenza o meno del pericolo che giustifica l’applicazione dell”art. 1481 c.c.?
    • La risposta della Corte a tale quesito è negativa: “Il semplice fatto che un bene immobile provenga da donazione e possa essere teoricamente oggetto di una futura azione di riduzione per lesione di legittima esclude di per sè che esita un pericolo effettivo di rivendica e che il compratore possa sospendere il pagamento del terzo o pretendere la prestazione di una garanzia” (Cass. n. 2541/1994; Cass. n. 8002/2012; n. 8571/2919).
    • 3) E’ possibile invocare l’art. 1481 c.c. sul presupposto che il promittente venditore abbia taciuto la provenienza donativa dell’immobile oggetto del contratto preliminare di vendita?
    • Vedi, altresì Cass. n. 3390/2016: “il pericolo di evizione del bene a fronte del quale, ai sensi dell’art. 1481 c.c., (…) non ricorre, di per sè, nell’ipotesi di fallimento del dante causa del promissario venditore, per l’eventualità, solo astratta, che venga proposta un’azione revocatoria“.
    • Il rimedio può considerarsi un’applicazione della eccezione di inadempimento, in presenza di un serio, concreto ed effettivo pericolo di rivendica (Cass. n. 8002/2012; 3806/1991).
    • Si ritiene che la norma sia applicabile anche al contratto preliminare di compravendita (Cass. n. 402/1985; n. 3072/1982).
    • 2) Quale tutela prevede l’art. 1481 c.c.?
    • Invero il semplice fatto che il sistema di tutela dei legittimari contempli teoricamente eventualità che siano sacrificati anche gli acquirenti del donatario, siano essi acquirenti della proprietà o acquirenti di diritti reali di godimento o di garanzia (art. 561, 563 c.c.), costituisce circostanza che non è priva di conseguenze sulla sicurezza, la stabilità e le potenzialità dell’acquisto programmato con il preliminare.
    • 1) Perchè la provenienza da donazione dell’immobile promesso in vendita “costituisce circostanza relativa alla valutazione e alla sicurezza dell’affare” e come tale è rilevante?
    • A) In relazione all’addebito n. 1 (“dato il rischio di riduzione della vendita da parte dei legittimari dei donanti sussiste il suo diritto a rifiutare la sottoscrizione del contratto definitivo di vendita”)
    • In particolare, nell’esaminare le censure proposte la Cassazione ha affermato e ribadito i principi che di seguito si riassumono.
    • Il primo ed il terzo motivo attengono all’addebito n. 1 mentre il secondo motivo all’addebito n. 2.
    • Il ricorso in Cassazione
    • Il giudizio di appello
    • In ordine all’addebito n. 2 il tribunale pur premettendo che la promittente venditrice non aveva ottenuto la concessione in sanataria, accertava che però aveva presentato la relativa domanda e pagato l’oblazione. Ciò avrebbe consentito ai sensi dell’art. 40 comme 2 l. 47/85 di stipulare il definitivo.
    • Costituendosi in giudizio la promittente venditrice chiedeva in via riconvenzionale di accertare il suo diritto a trattenere la caparra confirmatoria ricevuta in virtù dell’inadempimento della promissaria acquirente sul presupposto che il suo rifiuto di addivenine alla stipula del definitivo fosse illegittimo.
    • In via ulteriormente subordinata chiedeva disporsi la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento della promittente venditrice.
    • La promissaria acquirente chiedeva pertanto in via principale disporsi l’annullamento del contratto con condanna della promittente venditrice a restituire il doppio della caparra.
    • – Il promissario acquirente ritiene, altresì, che vi sia un inadempimento grave della promittente venditrice in quanto la medesima si era impegata a sanare entro la data di stipula del definitivo la costruzione di una baracca abusiva ed a produrre in tale sede la concessione in sanatoria e nonostante avesse accordato due proroghe della stipula del definitivo per ottenere il rilascio della concessione in sanatoria, questa non era stata ancora rilasciata (di seguito identificato come “addebito n. 2”).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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