EDILIZIA: SANATORIA NEL CASO DI PERMESSO DI COSTRUIRE ANNULLATO IN SEDE GIURISDIZIONALE. LA GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA PROVA AD OFFRIRE UNA SOLUZIONE APPLICABILE.

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francesco-ferrari

Come noto, il tema della sanatoria di cui all’art. 38, D.P.R. 380/2001 per le opere realizzate sulla base di un titolo edilizio annullato in sede giurisdizionale è fra i più dibattuti in sede interpretativa.

Rammentiamo, infatti, ai fini che qui interessano che la norma in analisi prevede che in caso di annullamento del permesso di costruire è possibile, a determinate condizioni, sanare le opere già realizzate e l’applicazione di una sanzione pecuniaria al posto della demolizione. L’integrale corresponsione della sanzione irrogata produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria di cui all’art. 36, D.P.R. 380/2001, istituto che comunemente si definisce come “fiscalizzazione dell’abuso”.

Tale norma è stata considerata dalla giurisprudenza come una “speciale norma di favore” che differenzia la posizione di colui che abbia realizzato l’opera abusiva sulla base di titolo annullato rispetto a coloro che hanno realizzato opere parimenti abusive senza alcun titolo, tutelando l’affidamento riposto dall’autore dell’intervento circa la presunzione di legittimità e, comunque, sull’efficacia del titolo assentito (così anche di recente: Cons. Stato, Sez. II, 23/09/2019, n. 6284; id., Sez. II, 10/05/2017, n. 2160). Ai sensi del comma 2-bis dell’art. 38, D.P.R. 380/2001, le disposizioni in questione si applicano anche alla SCIA alternativa al permesso di costruire, in caso di accertamento dell’inesistenza dei presupposti per la formazione del titolo.

Sulla speciale sanatoria sopra indicata si sono, nel tempo formati tre distinti orientamenti giurisprudenziali:

Un primo orientamento – che potremmo sintetizzare con il titolo di “sanatoria per ogni tipo di abuso” – prevede un’interpretazione ampia e di favore per l’autore dell’abuso.

Si ritiene infatti, che la fiscalizzazione dell’abuso sarebbe possibile per ogni tipologia dell’abuso stesso, ossia a prescindere dal tipo, formale ovvero sostanziale, dei vizi che hanno portato all’annullamento dell’originario titolo, considerando quindi l’istituto come un caso particolare di condono di una costruzione nella sostanza abusiva.

Più precisamente, anche in presenza di vizi sostanziali e non emendabili del titolo annullato, il Comune, prima di procedere con l’emissione dell’ordinanza di rimessione in pristino dello stato dei luoghi, dovrebbe verificare l’impossibilità a demolire e, ove questa venisse ritenuta come sussistente, dovrebbe limitarsi ad applicare la sanzione pecuniaria (in tal senso assai di recente: Cons. Stato, Sez. VI, 19/07/2019, n. 5089). Nel far ciò dovrebbe poi considerare rilevante non solo il caso di vera e propria impossibilità o grave difficoltà tecnica, ma anche quello in cui riconoscesse ragioni di equità o al limite anche di opportunità (a tale ultimo riguardo Cons. Stato, Sez. VI, 17/10/2019, n. 7057).

Un secondo orientamento più restrittivo e più risalente nel tempo prevede la sanatoria dei soli vizi non sostanziali.

Per tale orientamento la fiscalizzazione dell’abuso sarebbe possibile soltanto nel caso di vizi formali o procedurali non emendabili, mentre in ogni altro caso l’amministrazione dovrebbe senz’altro procedere a ordinare la rimessione in pristino; in sintesi tale strumento non potrebbe operare con gli effetti di un condono (cfr.: Cons. Stato, Sez. VI, 09/05/2016, n. 1861).

Il terzo orientamento mediano, ché tiene conto di entrambi quelli sopra indicati e che consentirebbe, pertanto la sanatoria dei vizi sia formali che sostanziali, ove emendabili, ritiene, discostandosi parzialmente da quello restrittivo, che la fiscalizzazione, oltre che nei casi di vizio formale, sia possibile anche nei casi di un vizio sostanziale, che sia tuttavia emendabile. Anche in tal caso, non vi sarebbe la sanatoria di un abuso, perché esso verrebbe in concreto eliminato con le opportune modifiche del progetto prima del rilascio della sanatoria stessa, la quale si distinguerebbe dall’accertamento di conformità di cui all’art. 36 del D.P.R. 380/2001 per il fatto che qui non sarebbe richiesta la “doppia conformità”, ovvero non si richiederebbe il rispetto delle norme edilizie e urbanistiche vigenti sia al momento dell’abuso sia a quello successivo della sanatoria (in tal senso, si veda: Cons. Stato, Sez. VI, 10/09/2015, n. 4221; segnaliamo, tuttavia, che la necessità della doppia conformità è stata invece affermata in alcune recenti pronunce quali ad esempio: Cons. Stato, Sez. IV, 04/02/2020, n. 904; id., Sez. VI, 28/07/2017, n. 3795.

Pochissimi giorni fa, poi, con ordinanza della Quarta Sezione del Consiglio di Stato dell’11 marzo 2020, n. 1735 (in allegato), viene rimessa all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato la questione della corretta interpretazione dell’art. 38 del T.U. 6 giugno 2001 n.380, nel senso di stabilire, nel caso di intervento edilizio eseguito in base a permesso di costruire annullato in sede giurisdizionale, quale tipo di vizi consenta la sanatoria che la norma prevede, ovvero l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria il cui pagamento produce, ai sensi del comma 2 dell’articolo in questione, “i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria”, istituto che, come già detto, comunemente viene definito “fiscalizzazione dell’abuso”.

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